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Insonnia Igiene del Sonno e Bio-Neurofeedback

insonnia igiene del sonno e biofeedback

Introduzione: il sonno

Il sonno è un processo biologico, governato dall’ipotalamo, presenta un ritmo ben preciso ed è influenzato da variabili di tipo endogeno ed esogeno, quali temperatura corporea e secrezione ormonale.  La temperatura corporea, ad esempio, sembra influenzare l’alternanza sonno-veglia poichè tende a presentare una diminuzione nelle ore serali e un aumento nelle prime ore del mattino. Invece, un esempio di fattori esogeni è l’alternanza luce-buio (Spaggiari, M. C., 2008, Goio, I. e Perbellini, L., 2012). 

Il sonno ha fasi denominate REM e Non-REM che si differenziano per le caratteristiche del tracciato elettroencefalografico e per la variabilità di alcuni parametri corporei  (Goio, I. e Perbellini, L. 2012).

Nel corso del tempo, in base ai cambiamenti storici e culturali,  il rapporto delle persone con il sonno ha subito delle modifiche.

Oggi, vi è una maggiore tendenza ad autoprivarsi delle ore dedicate al sonno per destinarle ad altre attività (Spaggiari, M. C., 2008).

L’ampio utilizzo delle nuove tecnologie, connesse al mondo virtuale, può rientrare tra i comportamenti che condizionano le abitudini sonno/veglia (ad esempio, il controllo ripetuto dei vari social, la visione ripetuta di video, ecc.).

Come valutare il proprio sonno?

La capacità di esaminare la qualità del proprio sonno, differenziandolo dallo stato di veglia, è importante per identificare la “percezione soggettiva” del sonno. Questa percezione è influenzata dal sistema di credenze ed idee che contraddistinguono l’individuo, infatti, sono le nostre conoscenze che ci permettono la definizione di un sonno come “buono” o “cattivo”. Questo insieme di  informazioni concerne anche i fattori che possono facilitare o ostacolare il sonno e le strategie per controllarlo. Ad esempio, una delle idee più diffuse riguarda la durata del sonno che per essere ottimale deve impegnare minimo 8 ore. In realtà, questa valutazione non tiene in considerazione le notevoli differenze inter e intra-individuali legate all’età, alla tipologia di dormitore e alle abitudini giornaliere (lavorative e non) (Giganti, F. et al., 2016).

Essere informati circa il funzionamento del sonno, e della sua alternanza con lo stato di veglia, ci permette una valutazione più approfondita della propria condizione e una maggiore capacità di comunicare eventuali problematiche e/o variazioni ai professionisti sanitari. In uno studio di Giganti e collaboratori (2016),  si riporta che per essere in grado di percepire il sonno, discriminandolo dalla veglia, è necessario che l’episodio di sonno abbia avuto una durata di almeno 2-4 minuti per il 50 % dei soggetti, 15 minuti per il 90% e 25 minuti per la totalità del campione preso in esame. A partire da questi dati, si può evidenziare che soltanto nel momento in cui l’episodio di sonno ha avuto una certa durata può essere riconosciuto e percepito come tale.

Inoltre, esistono delle caratteristiche oggettive che sono correlate positivamente con una buona qualità del sonno; quest’ultima è correlata con la quantità di sonno ad onde lente (ovvero con gli stati più profondi del sonno) e con la sua efficienza formulata mediante il rapporto tra il tempo passato a letto e il tempo trascorso dormendo (Giganti, F. et al., 2016).

Quando si può parlare di insonnia?

I disturbi del sonno rappresentano un problema frequentemente sottovalutato, non adeguatamente diagnosticato e approfondito. Secondo i dati dell’Associazione Italiana per la Medicina del sonno, si stima che in Italia siano circa 12 milioni le persone che soffrono di insonnia cronica o transitoria (circa un adulto su quattro) (Mencacci, C. et al., 2013). 

Nel DSM-5 i disturbi del sonno descritti sono: disturbo da insonnia, da ipersonnolenza, del sonno correlati alla respirazione, circadiani del ritmo sonno-veglia, dell’arousal, del sonno non REM, da incubi, comportamentale del sonno REM, indotto da sostanze/farmaci, narcolessia e sindrome delle gambe senza riposo (American Psychiatric Association, 2014).

L’insonnia è il più comune fra i disturbi del sonno e interessa, nel corso della vita, più del 40% della popolazione (Cicolin, A. e Giordano, A., 2020).

L’insonnia può essere definita come l’esperienza di sonno insufficiente e/o di scarsa qualità espressa da sintomi notturni che possono coesistere con dei sintomi diurni; può portare ad alterazione psichiche come ridotta capacità attentiva e di concentrazione, diminuzione della vigilanza e della reattività agli stimoli, perdite transitorie della coscienza, alterazioni del tono dell’umore e, nei casi più gravi, disorientamento spazio-temporale, dissociazione, depersonalizzazione o deliri (Samani, F., 2009).

L’insonnia è più frequente nelle donne, tende ad accrescere la sua presenza con il progredire dell’età; si ha un primo picco di incidenza nella menopausa e dopo i 65 anni. Invece, nei maschi c’è un aumentro tra i 24 e i 34 anni e dopo i 65 anni. L’insonnia non è un evento fisiologico della senilità tuttavia, è piuttosto frequente nell’anziano nel quale si registra una calo della percentuale di sonno profondo (fase 3-4), un aumento della fase 2 e del sonno REM. Di conseguenza, si può registrare una maggiore presenza di risvegli notturni e una percezione di sonno insoddisfacente (Samani, F., 2009).

L’insonnia è classificata in forme croniche, a medio termine e acute; generalmente l’insonnia cronica è maggiormente correlata a problematiche di tipo psichiatrico e medico mentre, quella acuta è prevalentemente connesa a condizioni di stress, patologie acute o conseguenza di terapie farmacologiche (Mencacci, C. et al., 2013).

La persona con insonnia può sperimentare un’evoluzione delle problematiche ed è possibile che una situazione iniziale diventi nel tempo cronica e difficilmente modificabile perciò, è importante non sottovalutare problematiche sonno/veglia recenti e non procrastinare eccessivamente l’intervento terapeutico (Samani, F., 2009).

La persona normo-dormiente riesce a cogliere in modo più funzionale i segnali che il corpo invia prima del sonno; segnali come la diminuzione dell’attività motoria, la chiusura delle palpebre e la presenza dello sbadiglio. Il bisogno di sonno può esprimersi non soltanto mediante segnali esterni ma anche attraverso esperienze soggettive come una maggiore difficoltà nel concentrarsi o nell’eseguire movimenti complessi, sensazione di fatica, ecc. (Giganti, F. et al., 2016).

Le problematiche che si possono riscontrare nei pazienti con insonnia posso essere di tipo psicologico, cognitivo e fisico. Tra queste: cefalea, abbassamento della soglia del dolore e dell’efficienza globale del soggetto, aumento della temperatura corporea, del metabolismo energetico e maggiore incidenza di malattie psicofisiologiche connesse a un’errata gestione dello stress (ipertensione, colon irritabile, ecc) (Samani, F., 2009).

Diviene importante capire se la persona con insonnia riesca a cogliere ed interpretare correttamente questi segnali. In una meta-analisi (Baglioni et al. 2014) si riporta che i soggetti insonni dormono circa 23 minuti in meno, impegnano in media 6 minuti in più per addormentarsi e presentano circa 6 risvegli in più per notte perciò, il sonno è più frammentato, e la quantità di sonno ad onde lente e di sonno REM è inferiore rispetto ai buoni dormitori. Si può ipotizzare che le persone con disturbi del sonno tendono a sovrastimare il tempo di addormentamento e sottostimano la durata totale del proprio sonno (Giganti, F. et al., 2016).

I dati epidemiologici suggeriscono che l’insonnia, non complicata da comorbilità con altri disturbi psichiatrici, medici o con abuso di alcool, aumenta in modo rilevante il ricorso ai Servizi Sanitari e i relativi costi sociali. Inoltre, i disturbi del sonno contribuiscono a ridurre la produttività poiché, possono provocare incidenti e sinistri, deficit di apprendimento, diminuzione della concentrazione, della capacità di ascolto e decisionale, aumentare il consumo di alcool, favorire le cadute tra gli anziani e aumentare la percezione di essere in cattive condizioni di salute psico-fisica (Grigoletti, L., 2008 – Goio, I. e Perbellini, L., 2012).

Intervenire con un trattamento mirato ed efficace permette alla persona di migliorare la qualità della propria vita e comporta riduzioni di costi economici e/o sociali.

Quali sono gli interventi efficaci?

La terapia cognitivo comportamentale (TCC), o Cognitive Behavioral Therapy (CBT), è considerata una scelta terapeutica efficace per il trattamento dell’insonnia (Cicolin, A. e Giordano, A., 2020).

Tra gli obiettivi principali della TCC vi è la modifica di abitudini disfunzionali legate al sonno, correggere credenze distorte, regolare i ritmi sonno-veglia, sviluppare abilità di coping più efficaci, ridurre l’iperattivazione fisiologica, cognitiva ed emotiva.

Il trattamento standard permette anche un mantenimento dei risultati nel lungo termine. L’introduzione del farmaco dovrebbe essere presente quando il soggetto interessato non è più in grado di seguire correttamente la terapia oppure quando sia giustificato un intervento sul sintomo più immediato e a breve termine. La terapia cognitivo comportamentale è talvolta associata alla terapia farmacologica per potenziarne gli effetti oppure, può essere necessaria nei casi di progressiva riduzione dell’efficacia del farmaco a causa dell’uso prolungato. Il vantaggio dei trattamenti non farmacologici è dato dalla correzione di convinzioni, comportamenti e schemi di funzionamento disfunzionali che possono causare e/o mantenere l’insonnia (Cicolin, A. e Giordano, A., 2020).

La terapia cognitivo comportamentale rende possibile intervenire sulle variabili cognitive e comportamentali che influiscono sulla percezione del sonno, dei suoi segnali e sul mantenimento del disturbo.  Frequentemente, nei soggetti insonni è presente la convinzione che una sola notte di sonno disturbato abbia notevoli ripercussioni sulla propria salute e sulle attività diurne; questa convinzione può contribuire a creare un circolo vizioso in cui prevale l’ansia di non riuscire ad addormentarsi o di non riuscire ad avere un sonno continuo. Più il soggetto si impegna e si sforza per dormire, più non riesce a farlo, si istaura una ansia anticipatoria con la conseguente attivazione fisiologica che ostacola ulteriormente l’addormentamento (Giganti, F. et al., 2016).

Queste dinamiche contribuiscono a sviluppare sentimenti di frustrazione e la sensazione di non avere la possibilità di migliorare il proprio sonno, di conseguenza, all’interno di un percorso cognitivo comportamentale sono previsti interventi di psicoeducazione utili per contrastare le credenze erronee (Grigoletti, L., 2008).

Tra le tecniche più diffuse per il trattamento dell’insonnia si può elencare l’igiene del sonno; con l’etichetta “sleep hygiene” o “igiene del sonno” si identifica un insieme di regole utili per aiutare le persone a migliorare la qualità del proprio sonno (Grigoletti, L., 2008).

Le linee guida dell’American Academy of Sleep Medicine (AASM) ed dell’European Sleep Research Society (ESRS) concordano nel ritenere indispensabile la conoscenza di questo insieme di regole comportamentali (Cicolin, A. e Giordano, A., 2020).

Una tecnica ulteriore è definita “restrinzione del sonno” e si basa su una iniziale riduzione del tempo trascorso nel letto. Questo metodo può sembrare paradossale poiché, si richiede al paziente di trascorrere meno tempo nel proprio letto e, di conseguenza, richiede una compliance elevata (Cicolin, A. e Giordano, A. 2020).

La richiesta di limitare la durata del proprio sonno (andando a dormire più tardi e svegliarsi in anticipo rispetto all’orario consueto) ha l’obiettivo di aumentare efficienza e continuità cioè, le variabili oggettive collegate a una valutazione positiva del proprio sonno (Giganti, F. et al., 2016).

In aggiunta, tra le risorse disponibili, vi è la “tecnica del controllo dello stimolo” mediante la quale si cerca di eliminare le associazioni disfunzionali che si sono create, nel corso del tempo, fra sonno e stimoli ambientali e/o temporali. Per esempio, associazioni tra camera da letto, computer e lavoro oppure, l’idea che sia più utile andare a dormire ad un orario prescelto senza la presenza di un’effettiva propensione a dormire. A queste tecniche è bene associare l’utilizzo di un “diario del sonno”, che permette di valutare sia la gravità del diturbo sia monitorare i progressi del percorso intrapreso (Grigoletti, L., 2008).

Altre risorse, non farmacologiche ed efficaci, sono costituite dal ricorso a tecniche utili per il rilassamento che mirano a ridurre l’attivazione fisiologica e cognitiva; tra queste il rilassamento muscolare progressivo, il training autogeno e il biofeedback (Grigoletti, L., 2008).

Con il Biofeedback, grazie a strumentazioni specifiche, è possibile prendere consapevolezza di parametri fisiologici come la respirazione, la temperatura periferica, la conduttanza cutanea, l’attività cardiaca, ecc. La persona può visionare, in tempo reale, su uno schermo, l’evolversi di processi psicofisiologici che generalmente sono involontari. Nei casi di insonnia, un trattamento storicamente indicato è un training di EMGs (elettromiografia di superficie) che permette alla persona di riconoscere la tensione muscolare e apprendere come rilassarsi. In questo modo, il paziente può riuscire a intevenire in modo concreto sul Sistema Nervoso Simpatico che produce uno stato di allerta in contrastasto con l’addormentamento. Un training di EMGs-BF non è l’unica modalità di intervento possibile poiché, in base al profilo psicofisiologico, si può valutare di intervenire su parametri e training differenti (Sacco G., Testa D., 2012).

Le indicazioni fornite in questo articolo vogliono stimolare una riflessione e uno scambio di informazioni; è importante sottolineare che soltanto un’accurata fase di assessment può permettere la definizione del piano terapeutico più adeguato per la persona e la situazione contigente. Una buona alleanza terapeutica è il principio di partenza per strutturare un percorso di collaborazione tra terapeuta e paziente.

Bibliografia

American Psychiatric Association (2014), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione, Raffaello Cortina, Milano.

Baglioni C, Regen W, Teghen A, Spiegelhalder K, Feige B, Nissen C, Riemann D (2014). Sleep changes in

the disorder of insomnia: a meta-analysis of polysomnographic studies. Sleep Medicine Reviews 18, 3, 195-213. 

Cicolin, A., & Giordano, A. (2020). Terapia non farmacologica dell’insonnia: igiene del sonno e restrizione a confronto. Journal of Biomedical Practitioners, 4(1).

Goio, I., & Perbellini, L. (2012). Il lavoro e la fisiologia del sonno. Prevent Res, published on line, 7.

Giganti, F., Arzilli, C., Cerasuolo, M., & Ficca, G. (2016). La percezione del sonno e dei suoi segnali nel soggetto insonne. Cognitivismo Clinico, 13(1).

Grigoletti, L. (2008). Il trattamento cognitivo-comportamentale dell’insonnia. Psicoterapeuti in-formazione, 1, 53-89.

Mencacci, C., Ullo, A., Larcan, R., Orthmann, N., Merzagora, F., & Aguglia, E. (2013) Genere e disturbi del sonno. Studio multicentrico e ricerca qualitativa nella popolazione italiana.

Sacco G. (2016). Manuale di Biofeedback e Psicofisiologia. Col cuore e col cervello: alla ricerca della mutevole armonia. Alpes: Roma.

Sacco G. (a cura di) (2020). Promuovere il Benessere, Trattare i Disturbi. L’ausilio del BNF per la professione psicologica. Alpes: Roma.

Sacco G., Testa D. (2012). Biofeedback e Psicosomatica. F. Angeli: Milano.

Samani, F. (2009). “Dottore, non ho chiuso occhio…” Il medico di medicina generale e il paziente con insonnia. Rivista della Società Italiana di Medicina Generale N

Spaggiari, M. C. (2008). Aspetti della fisiopatologia del sonno di rilevanza occupazionale. G Ital Med Lav Erg, 30(3), 276-279.

Siti web

http://www.sonnomed.it/ sito ufficiale dell’Associazione Italiana Medicina del Sonno AIMS consultato in data 20 settembre 2020

Dott.ssa Alessandra Gubbiotti
Psicologa e Psicoterapeuta

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